“Questo splendido Paese è stato da sempre crocevia di molte culture.” Inizia così l’excursus storico che il Project Manager Christian Valerio ci propone per avvicinarci alla realtà del paese balcanico che gestisce. “Sino ad una trentina d’anni fa convivevano pacificamente serbi di fede ortodossa, croati-cattolici, bosniaci musulmani (Bosgnacchi) ed ebrei. In comune tra loro, oltre la lingua serbo-croata ed il territorio, hanno sempre avuto molto: l’amore che spesso nasceva tra membri di etnie diverse era la dimostrazione della convivenza pacifica, i matrimoni misti erano molto frequenti.
Nel primo decennio del nuovo millennio, erano ancora nitidi i cattivi ricordi nelle persone che hanno vissuto il terribile decennio precedente. Inter Campus in Bosnia Erzegovina lavora con le nuove generazioni. Il futuro del Paese, bambini puri, loro di queste storie ne sentono parlare ormai soltanto a scuola o tra le mura domestiche, dai loro parenti scampati alla carneficina, ma che evidentemente preferirebbero voltare pagina e dimenticare quei tristi ricordi e l’odore della paura.
Correva l’anno 2011 quando iniziammo la nostra missione Inter Campus con il nuovo partner locale, l’associazione Sprofondo-Thalia. Nella periferia della capitale continua tuttora il lavoro con due allenatori, Ahmed di fede musulmana e Radoš di fede ortodossa. Insieme gestiscono due gruppi di 40 bambini di differente fede religiosa, tutti uniti dai colori nerazzurri.
Lo stesso anno, pochi mesi prima, diretti a Sarajevo per attivare il nuovo progetto, di passaggio in auto in Erzegovina, lungo le strade della regione costiera del Paese sventolavano moltissime bandiere croate. Fu qui che ci colpì una realtà a noi sconosciuta sino ad allora; nella bellissima città medievale fondata dai Turchi ottomani nel XV secolo, separata dal fiume Narenta, durante la guerra teatro di guerriglia urbana che ancor oggi mostra sui suoi edifici cicatrici indelebili. La città il 9 novembre del 1993 è balzata agli onori della cronaca internazionale per la distruzione del simbolo della città, un gioiello dal punto di vista dell’architettura, il Vecchio ponte in pietra, lo “Stari Most”, collegamento tra i due lati della città, est e ovest. Da un lato, ad ovest, regnavano le bandiere a scacchi croate, sull’altra sponda orientale della città, quelle bosniache.
A pochi chilometri, nel piccolo villaggio di Domanovici, visitammo la scuola locale e fu in quel momento che, consapevoli della grande sfida a cui saremmo andati incontro, sentimmo il dovere di fare qualcosa. La scuola era, ed è ancora oggi, parte di un programma ideato nell’immediato dopoguerra come una soluzione temporanea che avrebbe dovuto incoraggiare il rientro delle persone sfollate durante il conflitto, “Dvije škole pod jednim krovom“ (“Due scuole sotto lo stesso tetto”), edifici scolastici separati su base etnica tra croati e bosniaci. A Domanovici, l’edifico a due piani è frequentato al piano terra dai bambini bosniaci ed è gestito da insegnanti e personale di fede musulmana; al piano superiore i bambini e la gestione amministrativa è affidata a persone di origine croata di fede cattolica. L’inizio delle lezioni e gli intervalli sono pianificati seguendo due fasce diverse per evitare contatti tra coetanei. Una palese discriminazione dove i bambini vengono segregati e mantenuti distanti, alimentando il sentimento di divisione e fornendo ad ognuno una visione di parte.
Da dieci anni Inter Campus ha attivato un progetto che vede giocare liberamente insieme un centinaio di bambini di qualsiasi genere, etnia e fede religiosa. Dal 2011 all’entrata del campo da calcio di Domanovici sventola alta la bandiera dai colori del cielo e della notte ispirata da principi di fratellanza. Da quel giorno, moltissimi genitori portano al campo i loro figli da tutta la regione per giocare nell’unica squadra mista dove bambini/e di ogni etnia o fede religiosa sono fratelli uniti dalle maglie nerazzurre.
Il nostro lavoro di “ri-pacificazione” continua.”
12.04.2021