ASUNCION – I camion del trasporto rifiuti si fanno più fitti. Sbucano dagli angoli delle strade, rallentano e sobbalzano, superando a passo d’uomo i dissuasori di velocità lungo il percorso. È in questi momenti che molti mendicanti saltano a bordo, aggrappandosi ai predellini della parte posteriore, in attesa che il mezzo prosegua la sua lenta corsa verso la discarica. Rovistano nella cisterna che intanto continua a masticare immondizia: dai sacchi può saltar fuori qualcosa di ancora utile, come un vestito o dei giocattoli. Finita la ricerca saltano giù, aspettando il prossimo convoglio.
È questo il primo segnale che dal centro città ci si sta avvicinando a Cateura, il grande immondezzaio a cielo aperto della capitale.
Ma ci sono altri due elementi che danno il benvenuto nel quartiere: la polvere e l’odore. I colori a Cateura sono sbiaditi, perché se non li ha consumati il sole li ha lavati via la pioggia. Qui si vive di acquazzoni e giornate torride, esondazioni, allagamenti e afa, a rotazione. Non esiste manutenzione, piuttosto abbandono in cerca d’altro. Il clima influenza l’aria, che può diventare irrespirabile secondo la direzione del vento. Anche i vestiti si impregnano delle esalazioni provenienti dalla discarica. Due volte al giorno transitano le mandrie di animali da allevamento, che percorrono lo stesso percorso alla stessa ora da almeno dieci anni (lo sappiamo bene perché il campo è interessato da questa transumanza alternativa). Instancabili stormi di avvoltoi fanno la guardia dall’alto, per scendere a posarsi sui sacchi più appetibili, che spesso vengono trasportati per centinaia di metri in volo fino a cadere tra le case.
Per i bambini di Inter Campus e per le loro famiglie, questo posto significa casa. È il luogo a loro più caro, in cui sono cresciuti e vivono. Le mamme aspettano i figli tornare dagli allenamenti, si fanno i compiti su tavolini di fortuna e poi si torna in strada, a giocare tra le pozzanghere o con gli aquiloni. Le scarpe sono sporche di fango, gli sguardi profondi sembrano un invito a entrare nell’intimità di ciascuno. C’è molta umanità in un contesto in cui microcriminalità e violenza sono purtroppo parte del quotidiano. Difficile trovare un bambino che viva con entrambi i genitori: quasi sempre uno dei due si è trasferito, a volte per necessità, altre per scelta, oppure perché in carcere. Chi rimane si fa carico della famiglia, spesso numerosa.
Nemmeno la maglia dell’Inter sfugge alle dinamiche di Cateura: si impolvera, negli anni perde le scritte, le ore in campo la rendono sbiadita, a volte bucata. Eppure c’è qualcosa di diverso. L’arrivo del nuovo donativo ogni anno senza dubbio aiuta a gestire il normale consumo, ma sono le cure dei bambini a fare la differenza, ad essere più minuziose verso un oggetto tanto prezioso per il suo valore simbolico. Sapere che nel mondo il nero e l’azzurro arrivano ovunque, vestendo ognuno dello stesso decoro. La magia del calcio che rende uguali, portando in alto l’ambizione e la responsabilità. Si stagliano i sorrisi, sullo sfondo della discarica, così grandi da far dimenticare le difficoltà, almeno per quell’ora di allenamento. È proprio qui che l’azione di Inter Campus trova la sua ragion d’essere più forte, nella miseria dignitosa che ha voglia di lottare e che, rinvigorita dal pallone, si eleva a cultura. L’educazione al rispetto, di se stessi, del proprio corpo e dello spirito, insieme all’attenzione verso gli altri: dalla famiglia agli amici, gli allenatori, gli avversari.
Le nuove maglie sono un punto esclamativo in mezzo ai rifiuti. Un grido di gioia che dice “Noi siamo qua!”. Mantenere vividi i colori, significa lasciare accesa la speranza.
01.11.2024