[Inter Campus Brasile, lo sport come riflesso culturale]

BRASILE – Era l’estate 1997, quando un giovanissimo  Ronaldo in grande ascesa, si presentò alla stampa con l’inedita maglia nerazzurra logata Inter Campus. Negli stessi mesi cominciava l’avventura che da Recife ci avrebbe portato ai 30 paesi di oggi.

Se la cultura brasiliana è sempre stata profondamente legata a quella del gioco del calcio, simbolo di riscatto e integrazione, pari dignità e orgoglio nazionale, da quel momento anche i colori nerazzurri si fondevano alla tradizione verdeoro. Una relazione naturale tra storia e passione in cui Inter Campus, da oltre vent’anni, si è ritagliata uno spazio importante.

In un’epoca segnata da molti sudamericani che trovavano il loro posto tra le fila del Club, il progetto sociale nerazzurro ha ricoperto un ruolo ancor più fondamentale, facendo leva sull’identità nazionale che i giovani vivevano nei loro sogni, fatti di campi in terra e palloni di fortuna. Da Recife a tutto il Paese: nel giro di pochi mesi Inter Campus era arrivato nelle favelas di Rio, a San Paolo e Pititinga, nel Rio Grande do Norte, coinvolgendo migliaia di bambini e bambine.

Nel frattempo, il successo del Brasile sulla Germania ai mondiali del 2002, con doppietta di un Ronaldo ormai in partenza dall’Inter. Quella finale – con un po’ di Italia grazie all’arbitro Collina – li avrebbe incoronati campioni per la quinta volta: “pentacampeones”, ce lo ricordano spesso.

Poi i mondiali Inter Campus di fine 2009 in Toscana, nella stagione del triplete di Maicon, Lucio, Julio Cesar, Thiago Motta. Ancora una volta sui campi del mondo i bimbi brasiliani affermavano capacità e allegria, con lo stile spensierato tipico della loro tradizione. Spensieratezza, musica e divertimento, è questo il loro approccio alla vita che si riflette nello sport.

Ma come spesso accade, nuove sfide erano alle porte: arrivarono in Brasile i mondiali e due anni dopo le Olimpiadi, con la complessità di organizzare e gestire due grandi eventi in un paese che faceva – e fa – dei contrasti un suo tratto distintivo. Proteste sociali e politiche, molte delle quali ci hanno toccato da vicino. Una su tutte, quella per la barriera eretta a bordo strada, sul percorso che dall’aeroporto di Rio conduce alle spiagge. Un tempo passando in macchina si vedevano le comunità e i nostri campetti, sempre gremiti di bambini nonostante l’orario o il caldo torrido, lontani da Ipanema e Copacabana. Ma era una faccia del Brasile che le autorità non volevano mostrare ai turisti in arrivo.

Alla fine la seleção perse, nel famoso 1 – 7 casalingo contro la Germania che pochi anni prima aveva battuto in finale. Fu un momento di analisi importante, di riflessione, che tra un gol e l’altro nascondeva molto più di una semplice partita. Una mortificazione profonda e una ferita difficile da rimarginare.

I primi bimbi di Inter Campus, quelli che avevano iniziato da piccoli nel 1997, erano ormai adolescenti, nel sentiero dell’età adulta, alcuni dei quali già con figli e famiglia. Formati grazie ai valori dello sport e alla filosofia nerazzurra, ispirati, si spera, dal rispetto che il calcio impone verso i compagni e gli avversari. Molti incamminati verso un futuro pieno di speranze, lo stesso che ha tuttora di fronte il Brasile, nonostante i molti problemi sociali e le sfide evolutive.

L’apertura del nucleo più recente, a Camocim, nel 2016, grazie al supporto di un partner che come noi crede nel valore educativo del calcio, è stato un modo per ribadire che Inter Campus non si ferma, al contrario: siamo una famiglia che cresce, che si occupa e accudisce le generazioni di domani.

Vittorie e sconfitte, metafore degli alti e bassi che la vita offre ad ognuno di noi. Momenti che auguriamo ai nostri bimbi di saper affrontare nel modo migliore, anche grazie agli anni trascorsi insieme, su quei campetti di terra in cui Inter Campus non si stanca di giocare.

24.08.2020

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