[Storie di convivenza nerazzurra]

GERUSALEMME – Si è appena conclusa la nostra visita nei tre nuclei di Inter Campus Israele Palestina che ciascuno a proprio modo rappresenta un unicum per le storie di integrazione e amicizia che racchiude. Come quella che ci racconta Arturo Cohen, allenatore Inter Campus di bambini palestinesi ed ebrei, del nucleo di Gerusalemme Est, che sul campetto di Beit Zafafa insegna il gioco del calcio e assiste alla meraviglia di un’amicizia che pare vivere solo qui.

“Gerusalemme, Yerushalaim, Al Quds. Una città che al suo interno ha più città, più mondi, più narrative. Puoi trovarti a Gerusalemme vicino al mercato ebraico di Mahanè Yeudà, vivere e respirare una città. Poi puoi trovarti a Silwan, nella strada principale e sentirti di nuovo in un posto diverso. A Gerusalemme ci sono gli Israeliani, ebrei per la maggior parte, ci sono i Palestinesi, cristiani alcuni e musulmani i più. Ci sono, tutti, insieme, ma non si vedono mai nello stesso posto.

C’è solo un posto, uno solo, che per tre ore a settimana si tinge di nerazzurro e dà la possibilità a un visitatore un po’ spaesato di vedere tutte le religioni in un unico luogo. È il campo di Beit Zafafa, quartiere palestinese di Gerusalemme, proprio al confine tra Gerusalemme Est e Ovest. Ebrei e Arabi, al centro di ogni guerra santa, a qualche centinaio di metri da quella moschea e quel muro che tanto fanno discutere, si tolgono i vestiti dell’astio e della paura per indossare quei due colori che scaldano il cuore (quanto meno di noi tifosi). Ed è proprio una magia, un attimo, ci si spoglia dei vestiti della quotidianità, così pesante e divisa, così piena di “noi’’ e “loro’’, e si indossano quelli dell’unione, del calcio, del “passa! Sono libero!’’ che non ha filtri né politici né religiosi. Perché se sono libero me la devi passare, ebreo, arabo, cristiano o chicchessia! I problemi non sono mai mancati, le incomprensioni, i momenti difficili.

L’anno scorso, quando sembrava che la terza intifada fosse alle porte, ci fermammo per qualche settimana. E Gerusalemme era ancora più grigia senza di noi, ancora più divisa. In momenti come quelli, di attentati e retate, di blocchi di interi quartieri e di coltellate a freddo alla fermata dell’autobus, capii che ciò che stavamo facendo aveva un potenziale enorme. Stavamo creando una comunità di persone, bambini e genitori, che stavano imparando, grazie al gioco del calcio, a stare insieme, a conoscersi, sorridersi e rispettarsi, in una città dove il primo insegnamento è “stai con quelli come te’’.

In una città dove tutto è diviso, dove tutto è paura, l’Inter, con Inter Campus, ha portato un po’ di colore, e la consapevolezza che il gioco del calcio rappresenta una lingua universale; dove il nostro Yigal, bambino di 8 anni ebreo che all’inizio pensava che ogni arabo fosse un terrorista, oggi può comunicare con passaggi, cross, tiri e sorrisi con Ahmad, 9 anni, di Beit Zafafa, che fino a un anno e mezzo fa pensava che ogni ebreo fosse un colono.

La storia di questo inizio anno è quella di tre nuovi ragazzi palestinesi, arrivati tramite amici di amici, che non sono originari del quartiere Beit Zafafa, molto chiuso in sé. I tre ragazzi, inizialmente, mostravano tutta la tenerezza di tre bambini che non si sentivano accettati né a destra né a sinistra. Non erano di Beit Zafafa, non erano ovviamente ebrei. È stata una bellissima prova, anche per i bambini palestinesi, osservare il diverso nella propria società, e capire che i “veterani’’ erano loro insieme agli ebrei, e che quindi era compito condiviso iniziare l’inserimento di questi nuovi bambini. È un motivo di grande orgoglio per me, e per tutto Inter Campus Gerusalemme, sapere di essere gli unici a creare una comunità di bambini e genitori che rappresenta l’unico ponte, un ponte nerazzurro, tra i due lati del muro.”

01.11.2016

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