RIO DE JANEIRO – È in corso l’ultima fase di allenamento prima della partitella, quella in cui si provano gli uni contro uno e i tiri in porta. I bambini si divertono, illuminati dalla luce fioca e gialla dei lampioni.
Improvvisamente, però, succede una cosa mai accaduta in tanti anni di visite e attività. I genitori, sempre presenti in gran numero per accompagnare Inter Campus, superano le recinzioni ed entrano in campo. Sono agitati, vogliono portare via i figli, qualcuno ferma la palla per far capire che la sessione di oggi è terminata.
A causa di scontri tra forze dell’ordine e fazioni criminali, la comunità è costantemente messa a repentaglio: solo pochi mesi fa un bambino è stato colpito da un proiettile vagante, rimanendo costretto in carrozzina. Dispiacere e preoccupazione hanno interrotto gli allenamenti per molto tempo. La ripresa delle attività, lenta e cauta, è un processo ancora in corso e ogni piccolo segnale è un campanello d’allarme.
Appena fuori dal campo, in questo caso, è arrivata una camionetta della polizia in tenuta antisommossa. Capita, anche senza che nulla debba accadere, ma Inter Campus dev’essere un luogo sicuro in cui crescere e sentirsi protetti. Le precauzioni, anche in questi luoghi che purtroppo vivono la violenza nel quotidiano, non sono mai abbastanza. Camminiamo verso casa con i palloni sottobraccio. Nella fretta ognuno ha preso qualcosa: cinesini, scarpe, zaini. Chiacchieriamo con mamme, papà e bambini allontanandoci dal quartiere. I colori nerazzurri come bandiera di pace, che spesso vince, a volte si ferma difronte a dinamiche più grandi. Ma non si arrende mai nella costruzione del futuro.
22.07.2022