[La delegazione nerazzurra torna in Bosnia Erzegovina]

Capajebo (dal cirillico), Saraj (dal giudaico), Saraybosna (dal turco), o semplicemente Sarajevo. L’architettura ottomana del centro storico lascia spazio a quella asburgica del nuovo centro. S’incrociano per i vicoli fisionomie slave, turche e mediterranee. Tradizioni musulmane, cristiane ed ebraiche. Le case popolari segnate dai colpi di mortaio provenienti dalle due colline che la circondano si scontrano con le tendenze occidentali dei luminosi centri commerciali. Un luogo unico, di cui da oltre 20 anni fa parte anche Inter Campus. Ci notano camminare tra le viette del quartiere antico e ci chiedono di Džeko: un esempio di vita e un mito per i bosniaci, ma soprattutto per i nostri bambini. A differenza sua, loro per fortuna non hanno vissuto il periodo di conflitti di fine anni ’90.

Nacque in quegli anni il progetto in Bosnia Erzegovina, con l’obiettivo di utilizzare il gioco del calcio per abbattere barriere e favorire il processo di riconciliazione tra le genti. Nella capitale, oggi, Inter Campus è attivo con un progetto guidato da Rados e Anes, uno di fede ortodossa e l’altro musulmana, insieme gestiscono due gruppi di bambini.

Ci trasferiamo in auto da Sarajevo verso sud, in direzione di Mostar. Campanili di chiese cattoliche e ortodosse si alternano a minareti delle moschee. La città divisa in Est e Ovest, la parte cristiano-cattolica nel quartiere moderno e quella bosniaco-musulmana dalla parte antica (patrimonio dell’Umanità UNESCO). Il famoso ponte sul confine tracciato dal verde smeraldo del fiume Neretva.

Nel vicino villaggio di Domanovici bambini/e giocano sotto la guida di Josip, Ivan e Mirko. Durante i loro allenamenti l’intensità ed il coinvolgimento creano un’alchimia che sembra musica; le voci degli allenatori – tra cui Alin, allenatore locale rumeno arrivato volontariamente da Ramnicu Valcea -, scandiscono i tempi come direttori d’orchestra.

Va in scena la festa di Inter Campus!

29.10.2021

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