MANAGUA – Gli spazi e il materiale non possiamo dire che mancassero: un campo regolamentare diviso per quattro squadre e quasi un pallone ogni tre bambini a disposizione, pettorine di tre colori, cinesini, coni, addirittura una speed ladder! Insomma, grosse difficoltà sul campo non ne abbiamo incontrate.
La sfida, in questo caso, era la lingua. Non con i bambini: con loro basta il nostro itagnolo, l’esempio, il linguaggio del corpo e tutto si risolve sempre al meglio. Con gli allenatori, invece, soprattutto quando si trattano concetti teorici complessi, come gli schemi motori di base, il loro legame con le capacità coordinative e quindi con i gesti tecnici, non è facile. Siamo in 29 paesi e, più o meno, parliamo altrettante lingue (oltre a qualche dialetto), ma vogliamo essere certi, ogni volta, di non perdere in efficacia e mantenere vivo un confronto.
Così in aula tiriamo fuori un idioma comune a tutti, una sorta di esperanto calcistico, che ci permette di affrontare e approfondire temi difficili da sviluppare anche nella nostra lingua, rendendoli chiari ai nostri mister. Vogliamo essere sicuri che siano consci delle loro responsabilità sul campo nei confronti dei bambini e consapevoli della grandezza del calcio quale mezzo di educazione, crescita. Lo sono.
01.04.2016