[Focus Messico: Inter Campus agli occhi dei protagonisti]

Da circa 15 anni Inter Campus è attivo in Messico, negli ultimi dieci sono stati attivati progetti in diverse aree della Repubblica, ognuna con particolari necessità sociali spesso simili tra loro. L’alto tasso di criminalità e il narcotraffico aumentano il sentimento di paura della popolazione, e la continua ricerca di migliori condizioni di vita alimentano il costante flusso migratorio verso Stati Uniti e Canada. L’intervento di Inter Campus nel Paese ha come denominatore comune la prevenzione attraverso la formazione dell’individuo. Gli strumenti utilizzati sono il gioco del calcio e la formazione tecnica degli allenatori locali svolta nel tempo da parte del nostro staff.

Ogni progetto nei 30 Paesi dove operiamo è particolare ma uno di questi è diverso da tutti gli altri, il Chiapas. Fa parte dei 31 Stati che compongono la Repubblica del Messico, annoverato tra più poveri nonostante sia in realtà il più ricco dal punto di vista delle risorse naturali. Minerali, gas, petrolio, nonché la grande potenzialità idroelettrica sono quasi esclusivamente sfruttate da compagnie straniere su concessioni municipali. La sua produzione agricola è notevole, non solo per quanto riguarda le più importanti come caffè, mais e frutta. La coltivazione della palma africana (da cui deriva il combustibile biodiesel) è in forte aumento mettendo a rischio sia la sovranità alimentare che la stessa foresta. La biodiversità si concentra nelle aree naturali “protette” come la “Biosfera de Monte Azules” di cui fa parte la riserva “Selva Lacandona”, una delle ultime foreste tropicali dell’emisfero nord del pianeta. Anche questo territorio soffre lo sfruttamento da parte degli allevamenti estensivi di bovini e lo sfruttamento del legname pregiato. Nonostante questa ricchezza, la maggior parte della sua popolazione vive oggi in uno stato di grave povertà, soprattutto nelle zone montuose, ed è sempre più colpita da gravi patologie da denutrizione. È proprio qui, tra la Selva e gli altopiani del Chiapas, che dal 2012 si è sviluppato il progetto Inter Campus. Territorio di passaggio per centinaia di migliaia di cittadini provenienti dal sud e centro America che sfondano il confine messicano dal Guatemala. Tutti inseguono il sogno di una vita migliore che possa garantire loro un minimo di sussistenza e sicurezza economica. Carovane interminabili di esseri umani di ogni età che fuggono da Paesi dove gli indici di violenza sono alle stelle ed i diritti umani vengono quotidianamente calpestati. La disuguaglianza sociale è via via alimentata da una corruzione diffusissima. Un’emergenza umanitaria che provoca un esodo di massa verso il nord del continente.

In questa realtà si è attivato il progetto Inter Campus, a sostegno delle comunità indigene zapatiste. Un’organizzazione indigena che dopo 500 anni di sottomissioni del periodo coloniale, nel 1994, organizzati e guidati dall’intellettuale accademico Subcomandante Marcos, tifoso dell’Inter e dei Giaguari del Chiapas, iniziarono a ribellarsi in un Paese in cui i popoli indigeni erano dimenticati dalla Repubblica, tagliati fuori dall’agenda politica.

Dal nostro arrivo in Chiapas nel 2012, prima di raggiungere il Caracol (luogo istituzionale zapatista, definito da Marcos “porta per entrare nella comunità e da cui le comunità escano; finestra per guardarci dentro e per guardare fuori; altoparlante per lanciare la nostra parola e per ascoltare quella che arriva da lontano, ma soprattutto per ricordarci che dobbiamo vegliare e stare attenti a ciò che succede nel mondo”) siamo di passaggio nella cittadina coloniale di San Cristobal de las Casas. Provoca tristezza vedere quanti discendenti dei Maya, giorno e notte, vaghino per le strade del paese cercando di vendere i propri oggetti ai turisti. Bambini di 3 anni, così come persone adulte in età avanzata, non appartenenti al sistema zapatista, in bellissimi abiti tradizionali Tzeltal, Tzotzil, Tojolabal, seduti per terra, in attesa all’uscita dei vari hotel o a rincorrere i turisti con i loro baldacchini per vendere prodotti di ogni genere. Viene da pensare che nonostante l’incremento del turismo, la loro triste storia degli ultimi 500 anni e la loro condizione sociale non sia cambiata molto. Il turismo di massa ha un forte impatto sulla cultura indigena locale. Molti bambini vengono privati dell’istruzione in quanto spesso considerati fonte di reddito per le famiglie. Per opporsi a tutto questo gli zapatisti hanno rivendicato le proprie istanze di governo e di giustizia e organizzato il proprio sistema sanitario e di educazione (garantendo l’istruzione di base a tutti i membri dell’organizzazione), così come le proprie pratiche di produzione basate sulla proprietà collettiva delle terre e sullo sviluppo di nuove forme di lavoro collettivo, che hanno permesso di sostenere materialmente l’organizzazione dell’autonomia.

In risposta ai mega-progetti governativi di sviluppo del turismo che minacciano le comunità zapatiste ed i loro territori, sono stati costruiti 11 nuovi centri di resistenza autonoma, sette Caracoles e quattro municipi, aumentando in questo modo la tensione interna. A seguito di questi sviluppi, la sicurezza del nostro staff è stata messa a rischio e dall’inizio del 2020 ci hanno suggerito di sospendere il progetto.

Non è semplice nascondere quanto ci manchino i nostri amici “compas”, sia fuori che sul campo, i loro fazzoletti rossi, il loro coraggio, i loro modi gentili e disinteressati, i loro valori innati, la condivisione, la fratellanza, l’altruismo, il coraggio, la disciplina, la dignità nello sguardo e nei comportamenti.

Il nostro messaggio è che quando loro decideranno che sarà nuovamente il momento, continueremo ad esserci, non abbiamo mai smesso di esserci. Continueremo a supportare lo sviluppo del sistema educativo indigeno zapatista ed a “compartir” (condividere) con loro tempo e sapere.

Messaggio zapatista “Invitiamo a non perdere il contatto umano, bensì a cambiare temporaneamente i modi di saperci sorelle e fratelli. La parola e l’ascolto, con il cuore, hanno molte strade, molti modi, molti calendari e molte geografie per incontrarsi. E questa lotta per la vita può essere una di queste”.

 

25.09.2020

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