[Inter Campus, storie di integrazione]

“Prima dell’inizio del progetto Inter Campus, la situazione qui a Domanovici era molto brutta. Non c’era alcun rapporto tra croati (cattolici, ndr) e musulmani (bosniaci, ndr): avevi bar e negozi gestiti da croati, e altri bar e negozi gestiti da musulmani. I croati non andavano dai musulmani e i musulmani non andavano dai croati. La scuola: in realtà erano due scuole sotto un tetto e i bambini non si incontravano mai. Anche la campanella dell’intervallo suonava a 15 minuti di differenza così che questi ragazzi non si incrociassero. Essendo questo un villaggio rurale, i bambini venivano portati a scuola con il pullman: c’erano due pullmini, uno trasportava bambini musulmani, un altro bambini croati.”

Nelle parole di Z., che pure da anni si spende a rafforzare un dialogo interculturale, traspaiono i retaggi di una mentalità ancora fortemente influenzata dagli stereotipi. Come se un musulmano non potesse essere croato. L’eredità di questa visione richiederà un lavoro quotidiano e costante, per essere scardinata, ma lo sport può essere la chiave. Puoi essere croato o bosniaco, musulmano, ortodosso o cattolico, senza distinzione. Questo è il messaggio che Z. ci vuole lasciare.

All’interno di Inter Campus, i bambini sono autorizzati e incoraggiati a incontrarsi, conoscersi e giocare insieme. Si vuole seminare una nuova filosofia, che serva da esempio anche per gli adulti:

“I bambini giocavano insieme in campo, ma i genitori erano totalmente divisi: sinceramente ci sono voluti tre anni perché i genitori iniziassero a scambiarsi qualche parola. Non c’erano problemi con i bambini perché non erano consapevoli di queste cose”. e Z. prosegue “La cosa più bella che mi è successa riguarda il mio Mirko: quando aveva 12 anni, un suo amico, Riyadh, musulmano, lo invitò a casa per il suo compleanno. Quella era la prima volta che entrai in quel villaggio. L’ho preso e lasciato in quel villaggio: era lì da solo con i ragazzi musulmani. In qualche modo ho “usato” il mio bambino per mostrare agli altri croati che può funzionare.”

Come Z., anche noi abbiamo la responsabilità di essere quotidianamente testimoni di pace e riconciliazione, magari prendendo spunto dal campo di calcio, dove la gioia di un gol supera ogni barriera, etnica, religiosa, economica o sociale.

07.05.2021