Sarajevo – Con la delegazione Inter Campus al completo – composta dal direttore generale Edoardo Caldara, il responsabile organizzativo del Paese Christian Valerio e i tecnici Davide Lubes e Silvio Guareschi – percorriamo in auto centinaia di chilometri di un territorio meraviglioso dove ancora evidenti sono i segni della guerra. Lungo il tragitto si susseguono paesaggi rigogliosi costellati da case bruciate e abbandonate. In Erzegovina, la regione a sud-ovest del Paese, nella maggior parte dei villaggi sventolano le bandiere della Croazia, in molti altri le bandiere della Federazione Bosniaca. Il nostro progetto è nel villaggio di Domanovici, dove la popolazione è di maggioranza cattolica. Zorica, la nostra referente locale, ci racconta che sono sempre di più le famiglie che lasciano il Paese in cerca di una vita migliore in Europa. Sua figlia Petra ha 10 anni ed è al quarto anno con Inter Campus. La piccola frequenta la scuola “Due scuole sotto lo stesso tetto”. Sono una sessantina in tutto il Paese le scuole divise dove bambini musulmani e cattolici sono separati da muri.
In una terra dove l’identità nazionale coincide con l’appartenenza religiosa, la popolazione non dimentica le divisioni etniche tracciate prima con la violenza della guerra e poi sanzionate politicamente dagli Accordi di Dayton.
Anche per i 120 i bambini, parte del progetto, le percentuali rispecchiano quelle del numero degli abitanti di questa zona dell’Erzegovina a pochi chilometri dal confine croato, il 70 % cattolici, il 28% musulmani e il 2% ortodossi e tutti giocano insieme con le maglie nerazzurre. Prima che si attivasse il progetto tra i genitori dei bambini non c’era alcun punto d’incontro, oggi parlano insieme tranquillamente.
I bambini di Inter Campus Domanovici, nei fine settimana, si recano spesso per giocare le partite nella vicina Mostar, bellissima città medievale divisa dal fiume che tutti ricordano per l’abbattimento del suo ponte durante il conflitto, lo Stari Most (vecchio ponte), altri ricordano il derby di calcio che ben rappresenta la divisione mentre le squadre di Inter Campus sono tutte miste e i colori nerazzurri rappresentano l’unione, la possibile pacifica convivenza.
La visita è proseguita nella capitale dove nelle periferie interi quartieri dai palazzoni in stile sovietico portano ancora le cicatrici del lunghissimo assedio di cui la città fu ostaggio, evidenti sui palazzi d’epoca austriaca e su quelli del quartiere turco del centro storico. Anche qui a definire il territorio – siamo a nord est della città – non ci sono dogane visibili, ma solo i colori della bandiera Repubblica Serba.
Le guerre delle armi si sono trasformate in guerra politica. L’obiettivo continua a essere il controllo del territorio, le armi sono avere la maggioranza dei voti necessari per governare.
A Sarajevo ci accoglie la nostra referente locale, Hajrjia, la quale dal dopoguerra si dedica ad attività sociali per la sua città, e ci racconta che anche se questi territori nella storia sono sempre stati contesi, il termine corretto è riconciliazione e non integrazione. Con l’associazione che lei gestisce, Sprofondo Bezdan, nostro partner locale, una sessantina di bambini giocano insieme e anche qui domina una bandiera, dai colori nerazzurri.
17.05.2019