“Do not forget 1993!” (Non dimenticare il 1993!) si legge su una pietra riposta a pochi metri dallo Stari Most, il vecchio ponte di Mostar, simbolo che si era voluto colpire in quello stesso anno. Un ponte che non aveva alcun interesse strategico-militare, ma che rappresentava il luogo della nostalgia, il segno dell’appartenenza e dell’alleanza tra mondi che si volevano a tutti costi separare, il simbolo di una “Jugoslavia delle diversità” che esiste ancora, ma che, dal giorno della distruzione del ponte, è molto più fragile.
Il sistema educativo nel Paese riflette la divisione delle tre etnie costituenti (bosgnacco, serbo e croato) ed ognuna ha ottenuto l’autonomia per quanto riguarda l’educazione dei propri bambini.
Inter Campus opera a pochi chilometri da Mostar, nel piccolo comune di Domanovici, all’interno di una scuola, o meglio, due scuole monoetniche su due piani (al pian terreno i bambini bosniaco-musulmani e al primo piano i croati-cattolici) regolate sulla base di una convivenza da separati in casa, risultato del famigerato programma “Due scuole sotto un unico tetto” condannato dal Consiglio d’Europa, dall’Osce e dalle Nazioni Unite.
La materia più sensibile nei diversi programmi scolastici è la storia…
L’anno scorso, prima dell’arrivo di Inter Campus qui a Domanovici, era impensabile vedere bambini di diverse etnie giocare congiuntamente. Inizialmente non è stato semplice per i bimbi stessi convincere i propri genitori a lasciarli giocare con Inter Campus, perciò insieme agli “altri”. Oggi una settantina di bambini musulmani e cristiani, insieme, si allenano e giocano regolarmente, tutti vestiti con la maglia dell’Inter.
A Sarajevo la situazione è un po’ diversa. La maggioranza delle scuole sono pubbliche, essendo una città con una popolazione multietnica e gli studenti che le frequentano appartengono a diversi gruppi etnico-religiosi. Inter Campus qui è attivo insieme ad un centro socio-culturale multietnico e multireligioso, Sprofondo Bezdan (http://www.sprofondo.ba/): ancora oggi, a quasi vent’anni dalla fine della guerra, luoghi come questo sono rari. Sul campetto in cemento giocano oggi 80 bambini, musulmani e cristiani, tutti vestiti di nerazzurro.
10.05.2013