L’impostazione del viaggio in Bosnia era questa volta un po’ diversa dalle altre perché molto itinerante e non concentrata solo su Sarajevo, dove peraltro abbiamo sempre dormito e tenuto come base fissa dal tramonto all’alba.
Ogni viaggio e’ una possibilità ulteriore di scoprire nuovi dettagli, nuove realtà e, nel caso della Bosnia Erzegovina, testimonianze della sanguinosa guerra che dal 1992 al 1995 ha colpito queste terre e che rimane scolpita nel cuore di tutti. (…)
Ormai vedere le case bombardate o i cimiteri per strada o sulle colline limitrofe durante le nostre giornate o le corse mattutine non era più niente di nuovo ma nuovo, almeno per me, e’ stato prendere contatto in sei giorni con un guazzabuglio incredibile di razze, etnie, religioni, usanze e modi di vivere.
A partire dal primo giorno, quando abbiamo incontrato i bambini serbi, peraltro piccolissimi, e da li in poi ogni giornata e’ stata un’esperienza diversa, un’emozione sconosciuta, a Kisejak, Travik, Lukodan, paesi immersi nell’entroterra bosniaco e dove ora le diverse etnie vivono (apparentemente) in pace dopo anni durissimi che ovviamente continuano a lasciare strascichi sociali, economici e politici.
Un ricordo fra gli altri: allenamento a Kisejak, circa 20 km fuori Sarajevo, direzione nord ovest. Bimbi prevalentemente croati cattolici, allenatori serbi ortodossi, cittadina bosniaca musulmana; pioggia battente, decine di bimbi che arrivano da tutte le parti, alla fine erano un’ottantina. Siccome gli spogliatoi erano piccoli come un buco, tutti sono rimasti fuori sotto l’acqua ad aspettare me e Gabriele e Christian che preparavamo i campi. Finalmente pronti per l’allenamento sotto forma di torneo sotto il diluvio e poi via. Alla fine invece non se ne voleva andare nessuno, partite in cui il risultato non lo sapeva nessuno perché nulla importava ad alcuno. Magico.
Silvio Guareschi
10.10.2011