Le prime foto di Inter Campus Camerun sono in bianco e nero. No, non perché non ci fossero ancora le foto a colori, fu una scelta del fotografo ufficiale Franco Origlia quella di sottolineare col contrasto quello che è da sempre un continente pieno di contraddizioni e di estremi. Però è pur vero che sono passati vent’anni da quando partì il primo progetto africano, proprio in Camerun, ed andammo ad aprire un progetto pilota con il Centro Orientamento Educativo di Milano e Francis Kammogne, il segretario del Centre Sportif Camerounais, la realtà che raggruppa tutte le attività sportive degli oratori del Paese.
In questi vent’anni il progetto Inter Campus si è poi ampliato ad interessare anche i bambini e le bambine di tre altri Paesi subsahariani (Uganda, Congo RDC, Angola), procedendo con l’attenzione necessaria a costruire dei progetti stabili con partner affidabili, perché siamo sempre stati consapevoli della delicatezza di un lavoro che implicasse il calcio ed i giovani africani, rafforzando col nostro supporto i progetti sociali già portati avanti con impegno da ONG o Associazioni locali. Vent’anni di viaggi, di incontri, di programmi attuati o modificati in corso d’opera, perché le realtà locali richiedono spesso un grande sforzo di adattamento e la capacità, a volte, di fare passi indietro e riconsiderare e rimettere in discussione tutto. Ma soprattutto vent’anni di divertimento e di gioco, ed è sempre una emozione incontrare, in Camerun come in Angola (i progetti più datati) degli uomini che abbiamo conosciuto bambini, che abbiamo visto correre a piedi nudi sulla terra rossa fangosa dietro ad un pallone per tirarlo in una porta segnata da due rami di banano piantati a terra, ed ora tornano portando i propri figli a giocare col progetto Inter Campus (si diventa padri presto qui) e spesso passano “dall’altra parte della barricata” diventando a loro volta educatori ed allenatori dei più piccoli. E tutti ricordano con grande piacere ed affetto gli anni di Inter Campus, fosse sotto la pioggia ininterrotta per giorni a Limbé, sulla costa atlantica, o col caldo torrido che spacca letteralmente la terra di Garoua, ai bordi del Sahara. Molti ricordano anche la grande festa del 2009, quando portammo venti bambini da ogni Paese a celebrare i dieci anni del Progetto ad una “coppa del mondo Inter Campus” in Toscana, tornando tutti a casa poi con una bicicletta a testa, regalata da uno dei nostri partner. Qualcuna di queste biciclette l’abbiamo vista ancora girare, perché qui non si butta via nulla, con in sella uno o più fratellini e sorelline più piccoli dei bambini di allora.
Ma il nostro progetto non vive di ricordi. Siamo sempre attivi, anche in questo periodo di limitazioni per via del virus, che sembra avere parzialmente risparmiato l’Africa subsahariana, ma che comunque conosce i lock-down e le difficoltà di spostamento e di assembramento. Dove è possibile (villaggi isolati, istituti per orfani) il limitato contatto con l’esterno permette di continuare a giocare rispettando tutte le regole locali di distanziamento, che abbiamo corroborato inviando un protocollo di comportamento sul campo e fuori campo per tutelare la salute di bambini e allenatori. Dove non si può giocare assieme, i nostri educatori/allenatori hanno ricevuto costanti consigli ed istruzioni in video usando tutti i social media per continuare la loro formazione e crescita tecnica educativa, e mantenendo il contatto con tutti i nostri bimbi e le loro famiglie. Perché tutti insieme, appena finirà questa emergenza, saremo pronti a tornare in piena attività sul terreno, senza mai avere interrotto il lavoro formativo, e vedremo di nuovo a correre su quella terra rossa quei bimbi in nerazzurro, ad abbracciarsi dopo un goal e a ridere con quei denti candidi non più coperti da mascherine, perché il calcio è gioia di giocare assieme, oltre ogni difficoltà.
20.08.2020