CARACAS – Petare, la favela adiacente a Caracas, è una delle più ampie del Sud America. E’ talmente grande da essere suddivisa in tanti quartieri, tra cui San Isidro, quello in cui da anni lavoriamo. Qui i bambini arrivano al campo a piedi e diversi genitori assistono agli allenamenti: l’atmosfera apparentemente tranquilla inganna, e stride con la situazione drammatica in cui in cui verte il paese.
Durante la visita abbiamo l’opportunità di fermarci dalla mattina al pomeriggio nella comunità, vivendo i momenti di calcio, ma anche la quotidianità del quartiere, con i suoi luoghi e le sue persone. Pranziamo con Mario, uno degli allenatori locali che con grande generosità ci apre le porte di casa presentandoci la sua famiglia. Passeggiando con lui, figura riconosciuta, ci sentiamo sicuri anche nei vicoli stretti e colorati che ci conducono al campo.
Porta a porta, incontriamo i parenti dei bambini che si affacciano per salutarci e chiacchierando dalle finestre, nonostante le sbarre che caratterizzano ogni abitazione, ci sentiamo accolti. Di fatto, ogni casa ospita uno o più bambini di Inter Campus che al nostro passaggio accelerano le procedure di vestizione per seguirci fino al campo. I maschi infilano in fretta le scarpe da ginnastica, le bambine, con già addosso la maglia dell’Inter, terminano di sistemarsi i capelli per poter correre senza impiccio: nessuno vuole arrivare in ritardo. Poco a poco, durante il breve cammino, escono dalle case per formare un corteo che ci accompagna fino al campo, formando alle nostre spalle un fiume nerazzurro in festa.
Per i momenti di formazione teorica usiamo la scuola materna, dove già durante l’ultima visita abbiamo incontrato i referenti della comunità. E’ un luogo spartano, ma dal grande significato simbolico: come in ogni asilo ci sono gessetti colorati, bambole e macchinine, quasi a ricordare che anche qui, come in Italia, i bambini sono uguali e giocano allo stesso modo. Alle 17:00 dobbiamo lasciare San Isidro, scatta un coprifuoco non scritto che ci impone il rientro all’hotel. I più piccoli ci abbracciano per non farci andare via, ma sanno che tra pochi mesi torneremo e questa dà loro l’entusiasmo per continuare a giocare.
24.10.2016